P come Penelope

una scrittura contemporanea del mito

In uno spazio chiuso e asettico, simile a un laboratorio di analisi, viene messa sotto il microscopio l’iconica storia di Penelope. L’intento è quello di restituire alla figura universale del mito il suo sguardo negato, quello della donna che l’ha subito-vissuto, riconoscendole così una funzione attiva nella narrazione della sua vita.

Penelope è emblema dell’attesa. Aspetta Ulisse, sposo ed eroe, partito vent’anni prima per una guerra dalla quale tutti gli altri Achei hanno fatto ritorno. Perso nel mar Mediterraneo, naufrago su diversi lidi per volere di Poseidone, Ulisse è protagonista leggendario di una narrazione che attraversa i secoli.
Penelope invece la guerra ce l’ha in casa: sola al comando di Itaca, assediata da pretendenti che rappresentano una minaccia per suo figlio, attende e sopporta, si oppone al potere maschile per i mezzi che il suo tempo le offre, contrapponendo all’arroganza dei Proci la sua caparbietà femminile.
Nonostante questo, ben poco si conosce della vita di Penelope, la sua storia personale è narrata da un punto di vista maschile, per lo più in relazione al suo ruolo di moglie e madre.

Il processo drammaturgico prende avvio dall’etimologia del nome Penelope, anatraccola, con un esplicito riferimento all’episodio dell’infanzia del personaggio, in cui la futura moglie di Ulisse fu vittima di un tentativo di affogamento da parte del padre. La protagonista, bloccata in questo spazio, ripete il gesto di fare e disfare la scena, proprio come l’omerica Penelope faceva e disfaceva la tela. Questo gesto simbolico permette di ripercorrere la sua esistenza, segnata dal rapporto con il padre, trascorsa nell’attesa di un uomo che non è mai tornato, e interrotta per un figlio che, una volta cresciuto, ha scelto di non aspettare e di partire.
La chiave ironica con cui vengono affrontate queste tematiche universali, riporta immediatamente l’indagine intorno al mito al nostro vivere contemporaneo.

di e con Paola Fresa

in collaborazione con Christian Di Domenico

produzione Accademia Perduta-Romagna Teatri, Fondazione TRG di Torino

durata: 55 minuti

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